Ogni due giorni una donna viene uccisa dal proprio compagno.
Quasi sette milioni di donne hanno subito qualche forma di abuso nell’arco della loro vita, e secondo le indagini condotte dall’Istat e dal Ministero della Giustizia nell’ultimo periodo questo fenomeno si sta espandendo e sta diventando una vera e propria emergenza sociale.
Secondo il settimanale “L’Espresso” lo scorso anno le vittime di femminicidio sono state 120. Negli ultimi cinque anni si registrano 774 casi di omicidio di donne; significa che in Italia ogni due giorni (circa) viene uccisa una donna. Nonostante la legge sul femminicidio del 2013 il fenomeno resta di enormi proporzioni: la vita femminile è costellata di violazioni della propria sfera intima e personale. Spesso con un tentativo di cancellarne l’identità, di minarne profondamente l’indipendenza e la libertà di scelta. Ma cosa si intende per femminicidio? E perché non esiste il termine maschicidio?
È sufficiente la definizione del Devoto-Oli 2009 per chiarire che non si tratta di un vezzo: si definisce femminicidio “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte.” Potremmo dire che si tratta di una parola militante, nel senso che non esaurisce la propria funzione nel designare il fenomeno, ma cerca di diffondere una maggiore consapevolezza del problema.
Gli autori di femminicidi nella maggior parte dei casi rientrano in una fascia di età compresa fra i 31 e i 40 anni. Le vittime invece sono più giovani, per lo più ragazze tra i 18 e i 30 anni. Secondo le analisi condotte dall’ ISTAT in collaborazione con il Ministero della Giustizia quasi sempre la causa è legata a gelosia e possessione nei confronti della vittima.
Ma questi uomini nascono violenti? Sono incapaci di controllarsi? Lo racconta Sheila, sulla “27esimaora.corriere.it”, che descrive i periodici attacchi di rabbia di Michael: “diventa una furia, afferra la prima cosa che gli capita a tiro e la lancia in aria. Lancia roba dappertutto… poi la tempesta passa e lui sembra vergognarsi. Ma non ci avevo mai pensato, lui rompe solo cose mie, non mi viene in mente un singolo oggetto tra quelli che ha rotto che apparteneva a lui.” Lucidità e premeditazione sono costanti nella personalità di questi uomini. Si potrebbe parlare di un’apparente doppia natura degli uomini violenti, che sono “pazzamente” gelosi, ma poi nella vita quotidiana si comportano in modo ineccepibile, soprattutto in pubblico. Lo spiega in questo modo Lundy Bancroft nel suo recente libro Uomini che maltrattano le donne: gli uomini violenti non hanno empatia con i sentimenti altrui, è il loro sistema di valori, non la loro psiche, ad essere “malato”. L’uomo abusante non vuole risolvere i conflitti in modo non violento perché trae benefici dal proprio comportamento. Controllo, dice sempre Bancroft, è la parola chiave.
Allora verrebbe da chiedersi: perché le donne non lasciano questi uomini violenti? Perché è difficile abbandonare un partner che picchia, umilia, stupra? C’è in ballo l’amore? Si tratta di 120 casi all’anno di Sindromi di Stoccolma dove le donne sono davvero innamorate dei propri carnefici. Ebbene no, stando allo studio curato da Federica Santangelo per l’università di Bologna, sono tre i fattori che bloccano le donne: la durata della relazione allo scattare del primo episodio violento, la zona geografica di residenza e la presenza o meno di figli.
Ma c’è un modo per evitarlo?, o meglio, prevenirlo? Certamente, un terreno di coltura della futura violenza è quello in cui in famiglia si assiste a violenza psicologica dell’uomo verso la donna; situazioni in cui il valore della moglie viene negato. Non è solo una questione di donne. Finché saranno solo loro a parlare di femminicidio la situazione non cambierà; aiuterebbe insegnare agli uomini a parlare di sé, delle proprie emozioni, in modo da evitare il passaggio all’atto violento. L’unica strada per battere la violenza è acquisire la consapevolezza, anche culturale della parità tra uomini e donne.
Di cosa parliamo quando parliamo di femminicidio
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