La figura dell’immigrato viene vista come rappresentante di una categoria, di una razza, di un credo, di rado come individuo autonomo e pensante, mai realmente integrato all’interno di una certa comunità.
Immigrazione ed integrazione: due parole che raramente vanno di pari passo e ancor più raramente vengono utilizzate in maniera chiara e consapevole; forse perché in fondo per nessuno di noi, nemmeno per coloro che si considerano più aperti al cambiamento, l’immigrato corrisponde poi ad una parte integrante della società, ad un essere umano in grado di contribuire all’evoluzione di un paese o alla sua involuzione, una persona con un passato che pesa sul suo presente, ma spesso con la volontà di prendere in mano la propria vita per cambiarla. Più spesso accade che non si faccia nemmeno una netta distinzione fra immigrati e rifugiati, quindi fra coloro che per varie ragioni decidono di migrare, lasciare il proprio paese nella speranza di trovare la fortuna che manca e coloro che invece, cito testualmente, “nel giustificato timore di essere perseguitati per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trovano fuori dello Stato di cui possiedono la cittadinanza e non possono o, per tale timore, non vogliono domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi” ( dalla convenzione relativa allo statuto dei rifugiati del 1951). Tuttavia quello che spesso viene definito ‘immigrato’ nella maggioranza dei casi è invece un rifugiato che si è trovato costretto a fuggire per proteggere la sua vita e andrebbe quindi definito come tale e trattato con il rispetto che merita.
C’è una domanda che pongo spesso ai numerosi populisti ed è molto semplice così come è semplice dare una risposta: se fossi tu a dover scappare il più lontano possibile dalla tua terra natale, dal paese che ti ha allevato, per cercare di sopravvivere, come vorresti essere accolto? Certo è che non va negata l’esistenza del problema migranti per l’Italia e in egual misura per l’Europa, al contrario va affrontato in maniera diretta, senza buonismi o atti di carità poco utili a noi e a loro, ma l’accanimento, l’odio immotivato e soprattutto la generalizzazione dovuta certamente all’ignoranza, non porteranno mai a nulla di concreto, non renderanno mai questo Paese come lo vogliamo, si andrà anzi verso ulteriori divisioni e barriere, verso conflitti e rancori talmente profondi da non poter essere superati. Il progresso, quel progresso tanto invidiato a Paesi come la Finlandia o il Giappone arriverà solo quando si sarà capaci di osservare le cose da un’altra prospettiva, quando la società inizierà a compiere quel passo in più, indispensabile specialmente adesso. E gli immigrati? Quelli da cui, secondo molti, ci ritroveremo invasi fra appena qualche generazione?
Le opzioni sono due: lasciare che si integrino e che diventino parte del progresso, dando un contributo importante attraverso la loro cultura differente ed il loro passato lontano dalle nostre concezioni di vita, oppure lasciarli ai margini della società, come invisibili di cui si parla solo per elencare crimini da loro commessi,ed allora non è difficile arrivare alla conclusione che lo scontro sarà inevitabile e che la convivenza sarà appena tollerata.
La spirale di violenza in cui si trova l’Italia è dovuta ad una mancata integrazione che doveva essere compiuta anni fa, ad una mancata educazione all’accoglienza dello straniero o più semplicemente dell’altro. Quindi ora il lavoro è da compiere sulle nuove generazioni, bisogna sensibilizzare i giovani, perfino i bambini, anche perché un gran numero di migranti sono minori non accompagnati, i “figli di nessuno”, nostri coetanei, magari un domani nostri colleghi, nostri mariti o nostre mogli, con i nostri diritti e con la nostra stessa dignità, forse anche con un pizzico di forza di volontà e di determinazione in più, perché dovranno farcela da soli, senza nessuno a coprire loro le spalle, anzi, con gli occhi del mondo addosso pronto ad accusarli per errori commessi dalla loro gente molti anni prima, con la colpa di aver perso tutto e tutti in una guerra che probabilmente non hanno mai voluto. Quindi smettiamo di definirli kenyoti, etiopi, siriani, libanesi, loro non sono il luogo da cui provengono e da cui sono fuggiti, loro sono Eunice, Baracka, Mohammed, Omran, sono esseri umani, impauriti, sicuramente arrabbiati, delusi dalle nostre terre di false speranze, maltrattati, torturati, usati come carne da macello, come terroristi da linciare perché credono in un Dio più di quanto non facciamo noi, sentendosi sempre di troppo, sempre tagliati fuori e soprattutto senza un posto da chiamare casa; non immagino qualcosa di peggiore che non avere un luogo dove sentirsi davvero al sicuro, protetti, liberi ed è facile credere che quando arrivi ad attraversare il deserto, il mare, rischiando di contrarre malattie, minacciato dalla fame, dagli stupri, dalle violenze, circondato da un’intolleranza sempre maggiore, una casa sia tutto quello a cui aspiri.
Ho scelto di trattare questo tema non solo perché lo ritengo di grande attualità e di valida argomentazione, ma soprattutto perché quando affronto discorsi del genere mi sento poco capita, mi chiedo se sia la mia eccessiva empatia a darmi dei problemi al riguardo, perché il mio parere sulla questione è diverso da quello della maggioranza: io credo nell’accoglienza, credo che per quanto un territorio, una nazione, un continente decidano di non essere in grado di ospitare nel modo più giusto i migranti, possano in ogni modo offrire loro una speranza di vita, aiutare, rimediare ai gravi errori commessi come quello di aver stabilito che l’Africa fosse terra dell’occidente, dell’Europa, che l’Iraq dovesse essere occupato e ridotto in miseria e per finire che fosse la cosa migliore lasciare che la Siria ed il suo popolo venissero massacrati a causa di una guerra in cui non avevano speranze ed intervenire solamente quando la minaccia è divenuta reale anche per noi. E’ perciò, nostro compito fare tutto il possibile e anche di più per questa gente, penso che glielo dobbiamo, e che non sia una scelta bensì un passo da compiere.
Tolleranza, fiducia e compassione: sono i valori in cui credo, gli unici che porteranno il mondo al progresso, aspettare è inutile, iniziamo oggi, da noi, dai nostri figli, partiamo da qui e dimostriamoci esseri umani: “come essere umano, credo che qualsiasi crisi o difficoltà che colpisca un altro
essere umano, è come se capitasse a noi. Se non avvertiamo questa fiducia reciproca, siamo decisamente in difficoltà. A quel punto, affronteremo muri, divisioni e inganni da parte di politici che ci porteranno ad un futuro di oscurità” (Ai Weiwei, regista ed attivista per i diritti umani).