Infuturarsi- scene di un futuro possibile dopo essere andato in scena a giugno 2017 come saggio del laboratorio teatrale integrato Piero Gabrielli, è diventato una produzione del teatro di Roma.
I dodici attori con e senza disabilità della Piccola Compagnia del Piero Gabrielli, provenienti dall’esperienza dei laboratori integrati, sono andati in scena anche il 27 ottobre scorso al teatro di Villa Torlonia.
Il regista Roberto Gandini ha ideato un vero e proprio spettacolo a 360°, nel quale comicità, amore, riflessioni su tematiche molto attuali, malinconia e ovviamente futuro si intrecciano fra loro arrivando anche grazie all’aiuto di canti e balli, in modo simpatico e leggero, allo spettatore che segue piacevolmente i molteplici cambi di scena.
Oltretutto non mancano citazioni e reminescenze di grandi classici della storia letteraria e musicale europea. A partire dal titolo, infatti, troviamo il neologismo dantesco “infuturarsi” del XVII canto del Paradiso dove l’autore fa dire a Cacciaguida “s’infutura la tua vita/ vie più là che ‘l punir di lor perfidie” consigliandogli di non perder tempo con le perfidie altrui, nella certezza che la sua vita sia proiettata in un futuro glorioso.
Allora, lo spettacolo si apre con uno degli attori che, con tanto di teschio, dà inizio ad un monologo in stile shakespeariano esordiendo con una rivisitazione della celebre frase dell’Amleto in chiave autoironica: “Abile o non abile, questo non è il problema”. Ed è proprio vero! Sul palcoscenico, infatti, è difficile distinguere gli attori con disabilità da quelli senza.
Successivamente nella parte dedicata al cyberbullismo si vede l’alternarsi di tre finale differenti e la conseguente rottura della terza parete, tra attori e spettatori, chiaro richiamo al metateatro pirandelliano.
E’ altrettanto esplicita l’allusione al Faust di Goethe nel siparietto sulla fuga dei cervelli, dove il protagonista, oltre che chiamarsi Fausto, stringe anche un patto con il diavolo.
Ma non finisce qui poiché i riferimenti a grandi opere non sono terminati, infatti nelle musiche sono chiaramente riconoscibili la Carmen di Bizet, il Bolero di Ravel, nonché l’Immensità del più recente Don Backy.
Molto sentita la tematica sull’onnipresenza della tecnologia che viene trattata mettendo in scena un atto di cyberbullismo. L’argomento molto attuale viene inscenato con un’ironia che lascia un senso di amaro in bocca nel pubblico, soprattutto quello adolescenziale, che si trova a riflettere sulla cattiveria gratuita che spesso riserba il mondo ed a farsi un esame di coscienza. Durante queste scene tutti sono perennemente con il telefonino a portata di mano: uno lo tiene nella tasca, l’altro tra le due mani mandando un messaggio, l’altro ancora vicino all’orecchio fingendo una telefonata, rispecchiando così perfettamente la realtà di oggi dove lo smartphone più che un accessorio è diventato una nuova e più metallica appendice del corpo umano.
Senza nulla togliere ai pilastri della letteratura, questo spettacolo riesce a coinvolgere ed a far riflettere anche un pubblico così difficile come quello giovanile.